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Le origini della focaccia vanno ricercate nell’antichità; già fenici, cartaginesi e greci utilizzando farine di orzo, di segale e di miglio ne cuocevano al fuoco; e dal latino focus deriva l’etimologia di focaccia.

Nell’antica Roma le focacce erano considerate un cibo molto prelibato e per questo motivo venivano offerte agli dei ed in epoca rinascimentale consumate insieme al vino nei banchetti di nozze.
Come il pane, ma più ricca per via dei grassi, olio o strutto, utilizzato per l’impasto o per il condimento, in Italia è da sempre particolarmente diffusa.
Cibo di viaggiatori e pescatori la focaccia nasce intorno all’anno mille a Genova durante i lunghi tempi d’attesa che i fornai dovevano affrontare nelle notti di lavoro, ore ingannate infornando direttamente sulla base del forno pezzi di pasta non lievitata, che una volta cotti venivano mangiati in compagnia magari farcite di ortaggi, salumi o formaggi accompagnandovi il classico bianchetto (bicchiere di vino bianco).

Durante Il Medioevo pare che il successo della focaccia sia dilagato, infatti un decreto dell’epoca vietava l’utilizzo di salse nocive per cuocerla e addirittura il vescovo di Genova Matteo Gambaro finì col proibire la consuetudine di consumarla in Chiesa durante le funzioni.
Pare infatti che durante i matrimoni gli sposi la offrissero in segno di ringraziamento, abitudine che probabilmente degenerò a tal punto da rendere fastidioso il continuo masticare dei presenti che andava a coprire il latino recitato dall’officiante.
I secoli successivi consacrarono il successo della focaccia, tra quotidianità e piccoli gesti.
La zona portuale di Genova si riempie di “sciamadde“ ( dal dialetto genovese fiammata) e di forni, di donne e di uomini che trovano nella focaccia un modo semplice e poco costoso per vincere la fame.
La storia più recente la vede diventare colazione dei portuali (Fùgassa e vin gianco) , dei camalli in particolare, e poi alimento da passeggio, uno dei primi veri street food della storia.
Deve uscire dal forno croccante e dorata, mai pallida e alta non più di un dito.
Il modo “professionale” per gustarla è prendendo il tassello con due dita, rivolgendo la superficie unta e dorata verso il basso, in modo che incontri per prima le papille gustative.
Sfatiamo il mito sull’utilizzo dello strutto, MAI UTILIZZARLO! Solo ed esclusivamente olio extravergine d’oliva, non devono mancare gli occhi ben pronunciati che si riempiono di olio e sale.
Deve sciogliersi in bocca ed il giorno dopo diventare secca e spezzarsi.
Non deve avere mollica (la focaccia non deve essere alta) , non deve quindi in alcun modo assomigliare al pane: sono e devono restare soltanto lontanissimi parenti.
Purtroppo il passare del tempo, la presunta frenesia dei nostri giorni e la corsa al ribasso dei costi hanno portato col diminuire di quasi la metà i tempi di lavorazione, così come la percentuale di olio a favore di altri grassi meno nobili, con l’unico risultato cero di renderla meno saporita, meno digeribile e con tempi di conservazione molto più brevi.
Voglio dire con grande orgoglio che il nostro panificio non si piegherà mai a tale politica, accettando il rischio di perdere quella fetta di clientela che ha un occhio attento al prezzo di ciò che mangia (a parte casi limite, niente di più sbagliato e nocivo a parer nostro).
Il motivo è semplice, amiamo e rispettiamo troppo questo prodotto, simbolo della nostra terra, per svilirlo risparmiando sulle matrie prime.